TRASFORMARE LE SFIDE IN OPPORTUNITÀ DI CRESCITA

IL CONTESTO ECONOMICO: TRA INCERTEZZA E RESILIENZA

Lo scenario globale è ancora visto da incertezza e a ricadere sulle prospettive di crescita economica internazionale, si prevede un rallentamento dal 3,3% del 2022 al 2,8% nel 2023, sono il livello di inflazione elevato, il prolungarsi del conflitto in Ucraina nonché il rallentamento dell’economia in Cina.

Sebbene il quadro appena delineato lasci presagire possibili ripercussioni sul sistema economico italiano, le proiezioni sull’andamento dell’attività economica nazionale mostrano una capacità di tenuta, sia nell’anno in corso (+1,2%), sia nel 2024 (+1,1%). Per rafforzare tali prospettive positive e seguire una traiettoria di crescita, le imprese italiane dovranno prestare attenzione non solo alle tendenze di “consumo e benessere” dei propri clienti e allo sviluppo della “domanda” di mercato, ma anche alla difesa e alla gestione della loro “catena del valore”, in modo da mantenere attrattività anche nei confronti dei mercati esteri.

PERCEZIONE DI UN CLIMA DI FIDUCIA

Un certo ottimismo sul futuro dell’economia nazionale si riscontra da come le imprese guardano al 2023. Infatti, confidano in prospettive di crescita incoraggianti (62%) e mostrano ancora maggiore convinzione in riferimento alla propensione di crescita del proprio settore di appartenenza (65%).

Tale sentiment di ottimismo sul contesto settoriale proviene dalle rosee aspettative che le imprese hanno non solo rispetto alla propria crescita, percepita come elevata (82%), ma anche rispetto alle condizioni in cui dovranno operare nei prossimi 12 mesi. Non è ritenuto allarmante (67%), mentre soltanto una minoranza pensa di dover operare in un ambito altamente incerto (15%).

Pur tuttavia le aziende manifestano particolare attenzione alla necessità di monitorare i fenomeni esterni alla propria organizzazione. Prioritario per la strategia di crescita è il tema dell’inflazione (63%), percepito come rischio esterno da considerare con maggiore attenzione, insieme alla crisi energetica (47%). Tuttavia, non sono da sottovalutare nemmeno i rischi connessi ai mercati finanziari e al contesto geopolitico. Tali criticità si traducono in un potenziale aumento dei costi delle materie prime (40%) e possono contrarre la redditività, i relativi margini delle imprese (32%).

La complessità dello scenario e le relative sfide percepite come più impattanti sul business mettono le imprese nella condizione di dover operare in modo proattivo, attivando alcune azioni specifiche. In particolare, sarà importante concentrarsi nel breve termine su determinati driver: risorse umane, struttura organizzativa, modello di pricing/profitto, aumento del business tramite operazioni di acquisto e/o fusioni aziendali (M&A), incremento delle iniziative di sostenibilità e ampliamento dell’ecosistema di business. Inoltre, per le aziende meno strutturate, compare anche il tema dell’irrobustimento patrimoniale e finanziario, il quale rappresenta una leva di rafforzamento da rincorrere.

A prescindere dalle singole azioni e dalla propria dimensione, è rilevante che un’impresa sia in grado di progredire rapidamente e adattarsi alle nuove condizioni. Le imprese, infatti, devono sviluppare le capacità necessarie per identificare, anticipare e rispondere alle opportunità di crescita che si presentano ogni qual volta si manifesta un evento di “interruzione”, evitando di assumere un atteggiamento difensivo e limitato a mantenere lo status quo. Avere un’organizzazione solida si traduce, dunque, nella capacità di saper valorizzare il proprio capitale a livello umano, sociale, operativo, finanziario e naturale.

In uno scenario come quello attuale, per le aziende e i propri leader, è essenziale adottare un approccio che generi solidità organizzativa e sia in grado di soddisfare le aspettative degli stakeholder anche in condizioni complesse. In un mercato sempre più globale e interdipendente, ricorrere a modelli di business più sostenibili e a logiche di collaborazione può rappresentare il percorso da compiere per far fronte alla molteplicità delle sfide in atto. “Fare relazione” come patrimonio delle imprese virtuose e sostenibili.

L’ECOSISTEMA COME CHIAVE PER LA RESILIENZA DELLE IMPRESE

Le potenzialità sottostanti al “saper fare italiano”, quale valore distintivo per la competitività e la resilienza nel contesto internazionale – evidenziano l’importanza di adottare logiche di ecosistema, valorizzando un tessuto imprenditoriale prevalentemente costituito da imprese di micro, piccole e medie dimensioni. Tale tipologia di aziende rappresenta la quasi totalità dei soggetti operanti e attivi in Italia, occupando il 77% della forza lavoro.

L’adozione di tali collaborazioni, anche in ottica sostenibile, consente di innescare un “circolo virtuoso” in base al quale soprattutto le imprese di dimensioni ridotte possono “fare squadra” anche con player più strutturati, perseguendo un duplice obiettivo: da un lato, mettere a fattor comune risorse

e competenze, a beneficio di tutti gli stakeholder coinvolti; dall’altro, contribuire al miglioramento complessivo e sostanziare i criteri ESG, a beneficio proprio e del player strutturato, attraverso la condivisione di best practice ed esempi di eccellenza.

Le PMI italiane costituiscono un bacino numericamente importante che, tuttavia, a causa della sua dimensione ridotta, non si può avvalere delle stesse capacità di resilienza e di investimento presenti nelle grandi organizzazioni. Questo è particolarmente vero nei momenti di business as usual più che

in quelli di disruption come il periodo pandemico, durante il quale tali imprese hanno dato prova di capacità decisionale e di adattamento al contesto mutevole13. Una esperienza di successo che deve spingere queste organizzazioni ad investire nelle relazioni per potenziarle.

Il ruolo dell’ecosistema è quindi fondamentale e deve prevedere il coinvolgimento dei diversi attori che la compongono:

le imprese, inclusi competitor e leader del settore, cui spetta il compito di creare nuovo valore a beneficio di tutta la filiera, anche nel contesto della valorizzazione dello Scope 3 – CSRD

i soggetti finanziari, come ad esempio investitori, venture capital e istituzioni finanziarie pubbliche, aiutano alla transizione verso sistemi economici più sostenibili tramite l’allocazione efficiente delle risorse economiche;

Le istituzioni pubbliche e le associazioni di categoria sono chiamate a definire e attuare le politiche di indirizzo industriale del Paese e l’evoluzione anche in termini di standard per quanto riguarda i livelli di sostenibilità nei diversi settori;

Le università e gli enti di ricerca pubblici e privati, che possono apportare un contributo importante nello sviluppo di nuove idee e nel trasferimento tecnologico, ma anche nel “fare squadra”

La predisposizione delle aziende alla collaborazione si evince dalla survey, in cui circa una su cinque dichiara di aver aumentato il numero di soggetti esterni con cui interagisce e l’alleanza strategica sembra essere una delle formule a cui si è fatto ricorso negli ultimi anni e si presuppone potrà esserlo

anche nel breve termine. In generale, le motivazioni principali per cui le aziende decidono di puntare su operazioni di mercato e aggregazione con soggetti esterni sono legate all’ottimizzazione dei costi (40%), allo sviluppo di nuovi prodotti/servizi da lanciare sul mercato (38%), nonché all’accesso a nuove tecnologie (23%).

Inoltre, tale atteggiamento positivo nei confronti della collaborazione con altri soggetti si manifesta con una particolare attenzione rispetto al tema della sostenibilità, per cui quattro aziende su cinque dichiarano che il coinvolgimento e il dialogo con tutti gli stakeholder sia privati che pubblici risulta

necessario per favorire il processo di transizione energetica del Paese.

Le imprese, tuttavia, devono adottare un approccio meno opportunista ed episodico, ma più sistematico e strutturale, che le porti a vedere le “relazioni” con gli altri stakeholder in ottica più strategica. Infatti, a prescindere dal rapporto con i propri clienti e fornitori diretti, il campione intervistato dichiara di avviare una collaborazione con soggetti esterni (pubblici e privati) soprattutto quando si presentano delle specifiche necessità. Ad esempio, oggi solo un terzo del panel delle aziende collabora abitualmente con le istituzioni finanziarie e con le aziende leader del settore in cui operano.

In quest’ottica, il PNRR, lo strumento attraverso cui si declina il programma NGEU a livello nazionale, è un fattore che potrà incoraggiare ulteriormente la collaborazione tra attori pubblici e privati del sistema Paese, promuovendo nuove logiche di ecosistema. In qualità di asset strategico, il Piano introduce misure per la trasformazione delle piccole e medie imprese come, ad esempio, iniziative volte a supportare dei processi di internazionalizzazione e valorizzazione del Made in Italy, nonché il sostegno alla competitività delle filiere industriali, facendo attenzione a quelle più innovative e strategiche. Le imprese son ben consapevoli di tale potenzialità, come dimostra il fatto che tale Piano è ritenuto cruciale dal 79% delle imprese, in quanto è determinante nel supportare le relazioni con i vari soggetti e stakeholder.

LA CERTIFICAZIONE DI FILIERA COME GARANZIA DI QUALITÀ

Adottare una logica di ecosistema garantisce diversi vantaggi. Tra questi, vi è la possibilità di contribuire al potenziamento della propria filiera di appartenenza, intesa come raggruppamento di imprese che favorisce l’integrazione e lo sviluppo delle stesse in una logica di rete. Ciò consente una generale evoluzione della cultura imprenditoriale, nonché un rafforzamento organizzativo e finanziario dei soggetti partecipanti, indipendentemente dalla loro dimensione.

Da questo punto di vista, è necessario che le reti integrate di imprese (filiere) si facciano garanti non solo di una catena del valore di qualità in termini di mera profittabilità, ma anche della sua sostenibilità a tutto tondo sulla base dei parametri ESG che, essendo basati sulle tassonomie ispirate ai SDG 2030, rendono le strategie aziendali allineate ai programmi di sviluppo del Paese. Questo, tramite il ricorso a specifiche certificazioni e protocolli che attestano l’operato sostenibile dell’impresa e le consentono a sua volta di interagire con aziende virtuose in temi di rispetto dell’ambiente, responsabilità civica nella conduzione dell’impresa e governance disciplinata.

Valorizzare le pratiche virtuose, non solo a livello della singola azienda, significa quindi definire i principi e i requisiti – da parte delle associazioni di settore o delle aziende stesse – attraverso cui si certificano e si promuovono le competenze delle imprese operanti in un determinato settore, consentendo al contempo di accreditarsi nelle filiere produttive e qualificarsi come fornitore di grandi player di mercato.

L’appartenenza a un raggruppamento di imprese virtuose, attraverso la garanzia di determinati standard qualitativi non solo per il processo produttivo ma su tutti gli ambiti ESG (filiera certificata), è infatti ritenuta cruciale dal 74% delle aziende intervistate. Per più della metà si traduce principalmente nell’obiettivo di migliorare le proprie capacità imprenditoriali e acquisire nuove idee tramite contaminazione (55%). In secondo luogo, circa un’azienda su tre interpreta l’appartenenza a un ecosistema virtuoso in funzione di potenziare il proprio grado di competitività e aumentare le quote di mercato (29%). Da ultimo non bisogna trascurare il tema del rafforzamento patrimoniale, necessario ad aumentare l’attrattività nei confronti di investitori e istituti finanziari, come conferma una quota seppur minoritaria delle aziende intervistate, ma comunque significativa in termini di esigenze (15%).

Ad oggi, più della metà delle imprese intervistate (55%) dichiara di appartenere già ad una filiera normata da specifici protocolli e certificazioni di qualità.

L’importanza di far parte di una rete di imprese certificata è legata a motivazioni che impattano sia a monte sia a valle della catena del valore. Nel primo caso, in un’ottica di coerenza con la strategia della propria impresa, il 76% ritiene necessario richiedere ai propri fornitori specifici standard di comportamento e gestione, che garantiscano un allineamento sulla sostenibilità ambientale e sociale, nonché sulla buona governance aziendale. Discorso analogo riguarda le esigenze richieste alle imprese dai loro stakeholder: infatti, il 51% dichiara che soprattutto i clienti impongono loro standard di comportamento e gestione che incidono sulle strategie di sostenibilità aziendale; inoltre, le imprese devono tenere in considerazione anche le istanze dei soggetti finanziari, i quali richiedono il rispetto di medesimi standard nel 22% dei casi.

In generale, per sostanziare l’attenzione verso la sostenibilità nei rapporti con i propri stakeholder, un aspetto cruciale è quello di selezionare e monitorare fornitori e clienti sulla base di specifici criteri. Infatti, più di un’impresa su quattro dichiara di raccogliere già informazioni almeno di alto livello su temi come la qualità di processo e prodotto, la governance e la solidità finanziaria; una quota equivalente afferma poi di non farlo al momento, ma mostra comunque interesse per implementare questa pratica in futuro. In tal senso, emerge però un tema dimensionale: infatti, su tali aspetti le aziende più strutturate risultano già più mature di quelle di dimensioni ridotte, le quali nella maggior parte dei casi al momento non raccolgono informazioni e non sono ancora interessate a farlo.

Risulta pertanto evidente la necessità di rafforzare la cultura imprenditoriale e l’orientamento delle imprese di piccole dimensioni e dei suoi leader nel presidiare i temi di sostenibilità, in termini di pianificazione formale e allocazione di risorse (umane e infrastrutturali). Si tratta di implementare un processo strutturato attraverso cui attuare la selezione e il monitoraggio costante tramite parametri ESG applicati ai soggetti con cui le imprese si interfacciano.

Collaborare all’interno della catena del valore significa agire da soggetti responsabili, mettendo in atto iniziative concrete al fine di garantire la sostenibilità complessiva non solo del loro business, ma dell’intero ecosistema in cui operano (fornitori, clienti, investitori, finanziatori e capi filiera). In altre parole, far parte di un ecosistema basato su standard di qualità elevati genera un valore per le imprese in termini di reputazione e responsabilità, che va oltre la redditività, aspetto su cui ne sono già consapevoli più di otto imprese su dieci.

In uno scenario globale incerto e complesso, anche per il contesto italiano, le imprese si trovano a dover attuare strategie volte a monitorare una molteplicità di rischi di diversa natura.

Mettere in atto misure specifiche per affrontare l’impatto di fenomeni esterni alla propria organizzazione è la premessa per diventare più solidi e capaci di adattarsi in un contesto dove uno dei trend più impattanti è quello della sostenibilità.

Le imprese non possono trascurare l’importanza di diventare sempre più responsabili a livello ambientale, sociale e di governance. Queste tre dimensioni sono infatti le aree chiave su cui le imprese sono chiamate a confrontarsi con i propri fornitori, clienti e più in generale con l’intero insieme di stakeholder dell’ecosistema in cui operano, incluse banche e istituzioni finanziarie.

Sebbene la loro propensione verso tale percorso sia elevata, le aziende devono essere in grado di coinvolgere attivamente tali stakeholder per attuare una strategia ESG, basata sul rispetto e sul monitoraggio costante di criteri e parametri, anche in vista della entrata in vigore della CSRD Directive, in cui l’approccio alla sostenibilità diventa parte del DNA aziendale.

Per valorizzare la logica di ecosistema, le imprese devono però adottare un approccio meno opportunista ed episodico e più sistematico e strutturale, dove le “relazioni” con gli altri stakeholder (sia pubblici che privati) assumono una valenza più strategica.

Considerato il livello di complessità e interdipendenza del contesto di mercato, è fondamentale che tutti gli stakeholder coinvolti contribuiscano a mettere a fattor comune competenze, sinergie, programmi e risorse per lavorare insieme in un’ottica di collaborazione, promuovendo un modello più virtuoso e in grado di valorizzare l’unicità del Made in Italy.

Questo è possibile in particolare grazie alla certificazione delle filiere che garantisce il rispetto di determinati standard a livello sia qualitativo sia di sostenibilità a tutto tondo, per tutti gli attori operanti all’interno della catena del valore, dando alle imprese di dimensioni più ridotte l’opportunità di crescita in termini di cultura imprenditoriale e rafforzamento organizzativo e patrimoniale.

Agire in modo responsabile significa generare un valore per le imprese in termini di reputazione e responsabilità, che va oltre la mera redditività.